31/08/07

Lo sporco affare del Piano di Maputo

Cooperazione allo sviluppo di Samantha Singson
per www.svipop.org

Recentemente i sostenitori dell’aborto hanno sbandierato un documento noto come Piano d’Azione di Maputo considerandolo una vittoria del loro lavoro in Africa per ottenere un diritto universale all’aborto.

Il fatto è che mentre il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e l’International Planned Parenthood Federation (IPPF, una ong multinazionale della contraccezione e dell’aborto) – veri artefici del Piano – parlano di un documento di consenso dell’Unione Africana (UA), la verità è molto diversa, come ha scoperto e rivelato il Catholic Family and Human Rights Institute (C-Fam,
una ong pro-life attiva all’ONU).

Infatti funzionari africani di alto livello hanno ammesso che i capi di Stato dell’UA non hanno mai approvato il documento e che UNFPA e altre ong collegate hanno spinto subdolamente e con l’inganno il documento attraverso diversi incontri dell’UA.



Discusso a una sessione speciale dell’UA nel settembre 2006, il Piano d’Azione di Maputo (“per l’attuazione delle Linee Guida continentali per i Diritti e la Salute Sessuale e Riproduttiva”) è un programma triennale non vincolante che invita gli stati membri dell’UA ad “applicare politiche e iniziative legislative per ridurre l’incidenza dell’aborto insicuro” e “preparare ed attuare piani nazionali di azione per ridurre l’incidenza di gravidanze indesiderate e aborto insicuro”.

Secondo fonti che hanno preso parte alla sessione speciale, diverse delegazioni hanno manifestato contrarietà agli obiettivi abortivi e agli indicatori contenuti nel Piano d’Azione e hanno dato la loro approvazione alla bozza soltanto a condizione che venisse tolto dal documento la parte relativa all’aborto. Malgrado il segretario dell’incontro avesse assicurato che tale cambiamento sarebbe stato apportato nella bozza finale del Piano di Azione, ciò non è mai avvenuto. Quando i delegati si sono resi conto più tardi che era rimasta la parte sull’aborto, diversi hanno protestato verso il segretariato dell’UA, accusato di aver “manipolato” gli stati membri.

Il Piano d’Azione di Maputo è stato quindi inserito nell’agenda del vertice dell’UA del gennaio 2007, tenutosi ad Addis Abeba (Etiopia). E’ stato discusso dai rappresentanti permanenti all’UA e dai ministri degli Esteri, ma non è stato presentato ai capi di Stato in seguito alla presa di posizione del presidente dell’Uganda che aveva annunciato un intervento contro il Piano stesso. Per cui i capi di Stato al vertice di Addis Abeba non hanno né discusso né approvato il Piano d’Azione di Maputo.

La delegazione ugandese è comunque intervenuta contro la parte “abortista” del Piano d’Azione, all’incontro ordinario dei ministri della Sanità dell’UA tenutosi a Johannesburg (Sud Africa) nel successivo aprile 2007. Fonti presenti al meeting hanno rivelato al C-Fam che il rappresentante ugandese è stato duramente ripreso dal segretario dell’incontro, secondo cui il Piano d’Azione non era in discussione in quanto già approvato dai capi di stato dell’Unione Africana, il che è chiaramente falso. Almeno altre sette delegazioni hanno preso posizione a fianco dell’Uganda.

La questione è che anche se il Piano d’Azione di Maputo non è vincolante e la sua legittimità come documento di consenso è altamente controversa, gli esperti sono certi che gli obiettivi e gli indicatori in tema di aborto saranno usati per aumentare la pressione sugli stati membri dell’UA per modificare le loro legislazioni sull’aborto. E saranno anche usati per misurare il “progresso” degli stati, prassi che è normalmente seguita quando le istituzioni internazionali devono valutare l’eleggibilità di un paese a ricevere assistenza finanziaria. Non a caso l’UNFPA ha già annunciato che userà il controverso documento per portare avanti i suoi obiettivi.

Morto il piccolo abortito sano Ma per il comitato va bene così

Nonostante siano passati 5 mesi, si ripropone qui sotto il dramma di Careggi, il piccolo muore nonostante il suo attaccamento alla vita.

di DREYFUS Libero 27.03.07
Non ha resistito. Stava nella macchinetta della rianimazione. Non lo volevano i suoi genitori, ma lui probabilmente li voleva. Desiderava stare al mondo perché questa è la natura delle creature, non sapeva ancora se ferito o intero, ma ci contava. Uno che gli volesse bene ci sarebbe stato, una donna da cui poppare l'avrebbe trovata, e poi gli avrebbe messo i calzini. Invece è morto. Parliamo di lui, il cui nome non c'è. Dopo essere contemporaneamente nato e ucciso all'ospedale Careggi, era stato trasferito all'istituto pediatrico Meyer, sempre sotto la giurisdizione delle Asl di Firenze. Abbiamo ascoltato la telecronista di Sky spiegare che «la commissione interaziendale» ha decretato che tutte le «procedure sono state regolari». Il commento è stato: «Importante ora è non criminalizzare». Non si può neanche morire o essere uccisi come Dio comanda, occorre il timbro della burocrazia che spiega: operazione perfetta. Guai criminalizzare. Senz'altro. Ma forse più che condannare l'eventuale criminalizzazione occorrerebbe chiamare crimine quanto è accaduto con il timbro della legge e si facesse per il futuro in modo che sia impossibile. Impossibile almeno con la benedizione del codice e della cultura dei professori i quali non hanno dubbi: «La legge è così, i medici hanno fatto il loro dovere», ha spiegato alla Stampa il luminare Carlo Flamigni. La logica da obitorio

Vorremmo capire questo: dovrebbe bastarci il fatto che il bambino è stato ucciso secondo i regolamenti, che ciascuno ha fatto il proprio dovere? Il più bravo a eseguire il compito è stato il bambino: obbedientissimo. Infatti è morto. Non stiamo facendo gli spiritosi, è che non ne possiamo più di questo umanitarismo da becchini, ci è insopportabile questa logica da obitorio che ritiene l'aborto un diritto civile. E permette di fare un titolo così: «Sanità nella bufera per un aborto sbagliato».Perché l'aborto è sbagliato? Perché non è morto subito? Se aveva l'esofago leggermente difettato, allora non era sbagliato, nessuna bufera e almeno a Firenze non ci sarebbe neanche il problema di seppellirlo. È a Milano che la Regione Lombar- dia ha previsto per legge l'inumazione. Che orrore. Infatti si spazientisce «il primario della Mangiagalli: frigoriferi pieni» (Repubblica). Per intendersi: pieni di bambini fatti fuori come quello di Firenze. Come scrisse Martin Amis sull'Urss di Lenin e Stalin, il problema ad un certo punto non era se uccidere o no: ammazzare non dà problemi, ma poi dove mettere i morti? Non abbiamo l'ossessione dell'aborto. Neanche quella della "sacralità della vita". Ci importa questa vita precisa, che era stata destinata non solo alla sop- pressione ma all'oblio. Ora ci fanno sapere che il pupino ha un nome, ma è segreto. Sarebbe interessante saperlo per ricordarlo. Finché una creatura non ha nome è inesistente. Merita un ricordo. Qualche matto potrebbe persino pregarlo. Di certo è un martire, che in greco vuol dire testimone, e - secondo il cristianesimo - è «colui che versa la sua vita». Nessuno più di lui. Nessuno più di lui, ma lui come altri duecentomila che - maledizione - rischiano di riempirci i frigoriferi, e magari non è nemmeno possibile far sì che siano utili per la ricerca scientifica. Poveri bambinetti o feti o zigoti, come li chiama Pannella, non sono nessuno, «sono meno di un foruncolo», ma allora perché questi maledetti piangono, e si rigirano persino nelle acque materne quando la pinza li cerca? Siamo tutti soli

Ci piacerebbe sapere il nome. Non ci interessa il cognome. Nessuno vuole rincorrere quella madre infelice. Sappiamo bene che la sua situazione era difficile. In teoria siamo tutti fratelli, solidali, in marcia per la pace o contro le tasse, ma poi ciascuno è costretto a rincorrere i suoi guai in ascensione solitaria che poi diventa caduta libera. E quella donna lasciata sola, in compagnia di «procedure regolari» e «commissioni interaziendali» che fanno il loro dovere, ha schiacciato il bottone: non voglio vederlo, né saper nulla. Ma bisogna saperle le cose. Se fosse nato lei farebbe fatica, perché tirar grandi i bambini è dura, ma sarebbe meno sola, lui le cercherebbe il seno anche di notte. E spero che oggi sia il suo angioletto, sono ingenuo, candido e magari un po' folle, ma lo penso. Di certo però bisogna criminalizzare sì queste pratiche perfette a cui riesce solo di far fuori la speranza con la scusa dell'umanitarismo e della compassione per la donna. E smettiamola di restare in balia di quest'idea bestiale per cui un atto di violenza, com'è sempre l'aborto, possa essere un male minore. Tutto quanto è basato sulla violenza è assurdo e inutile, non ha futuro.

Mio figlio è Down, non “sbagliato”

Il linguista Michael Bérubé ha rotto con i liberal perché giustificano la “microeugenetica”. “Abbiamo introdotto nella società missioni ‘cerca e distruggi’. Possono portare via la dignità umana di Jamie”

da il Foglio del 31.08

Roma. Nel 1991 Michael Bérubé sarebbe diventato padre per la seconda volta. L’ostetrica suggerì a sua moglie di fare l’amniocentesi. “Per essere sicuri di cosa?” chiesero. La tecnica avrebbe estratto materiale genetico dal feto per rintracciare “anomalie”. Michael e Janet ne discussero, erano due liberal favorevoli all’aborto legalizzato. “Cosa facciamo se aspettiamo un bambino con la sindrome di Down?” chiese Janet. A quel bambino, che poi chiamarono Jamie, suo padre ha dedicato uno dei libri più commoventi degli ultimi vent’anni, “Life as we know it”. Bérubé, che insegna Letteratura alla Penn State University e collabora con molte riviste progressiste, non è stupito che anche in Italia sia caduto il tabù nell’uso della parola “eugenetica”, come dimostrano i siti Internet delle Asl (vedi il Foglio del 29 agosto). Proprio sull’eugenetica Bérubé ha rotto con la cultura liberal di provenienza, facendosi paladino del diritto degli invalidi, fino a contemplarne la difesa a livello costituzionale. “I liberal sono riluttanti a vedere i diritti dei disabili come parte di un programma di diritti civili” ci dice Bérubé. “Sanno benissimo che le persone con disabilità sono esseri umani come ogni altra persona. Eppure sostengono lo screening prenatale e l’eutanasia, sulla base dell’idea che l’autonomia individuale deve essere rispettata e che non c’è valore morale trascendente”. Il dibattito sullo screening prenatale, ovvero la capacità medica di setacciare l’embrione e il feto alla ricerca incessante di “difetti” e “anomalie”, è stato gestito in modo oscuro: “Non abbiamo idea di cosa significhi ‘screening’ e non abbiamo idea neanche di cosa intendiamo quando pensiamo al ‘bene della specie in quanto tale’. Si pensa che sia meglio prevenire certe vite piuttosto che vivere con esse. Oggi che Jamie è quello che è, sono arrivato alla conclusione che la nostra paura del ritardo mentale è del tutto sproporzionata e che milioni di persone ‘mentalmente ritardate’ possono vivere felicemente, forse più di coloro che vivono una esistenza ‘normale’. George Will ha scritto che la legalizzazione dell’aborto, combinata allo screening prenatale, ha portato nella società a ‘missioni di cerca e distruggi’, per ripulirla da persone come suo figlio Jon. Come specie non sappiamo cosa sia ‘normale’”. Per Bérubé la manipolazione embrionale è tale che “se iniziamo a pensare sulla base della scala biochimico-molecolare, ci avviamo sulla strada di un nuovo tipo di microeugenetica, in cui l’obiettivo dell’eugenetica non è più prevenire che certe persone si riproducano, ma di ‘migliorare’ certi tratti individuali negli embrioni. A partire dal 1927, la disabilità è stata una giustificazione sufficiente alla Corte suprema per dichiarare legale la sterilizzazione involontaria. Tutto quello che ho sentito sulla ‘qualità della vita’ è sbagliato. Così come dovremmo fare a meno del concetto di ‘nascita sbagliata’. La bioetica è troppo importante per lasciarla ai professionisti”. Questo studioso di cultura africana ringrazia se stesso per aver preso la decisione giusta. “Ogni mattina che porto Jamie a scuola, capisco quanto sia fortunato a essere vivo. I diritti di Jamie sono stati creati lentamente e con difficoltà. Il riconoscimento della sua dignità può essergli portato via”. Un anno prima della nascita di Jamie, George Bush sancì la protezione del suo diritto alla vita con l’Americans with disabilities act: “Riteniamo queste verità autoevidenti: tutti gli uomini sono creati uguali e sono forniti dal loro Creatore di alcuni inalienabili diritti”. Forse per Michael è un po’ troppo solenne, ma suona bene.

Eliminati o picchiati

Pochi mesi fa fece scalpore il video di un bambino Down picchiato dai compagni di scuola. Tutti pronti a stracciarsi le vesti di fronte alle violenze subite da quell’essere indifeso, a pontificare sul caso “bullismo” e sull’insensibilità di questi giovani di fronte alla povera creatura così dolce e simpatica. Oggi invece appare agli stessi normale che una donna decida di uccidere un bambino proprio perché Down. Ma allora fatemi capire, i bambini malati, vanno amati o eliminati?
Stefano Iuliano, Roma

La ricerca ossessiva della perfezione

di Turi Vasile
il giornale 31.08

Torna la visione spartana della vita secondo cui l’essere che non corrisponda al modello estetico-fisico, direi alla pura forma platonica, non ha diritto alla vita. L’uomo si sostituisce così alla selezione della Natura e si appropria del diritto di scartare implacabilmente il prodotto scadente così come accade nella lavorazione industriale. La coscienza invoca a suo alibi il diritto di correggere gli sbagli di Dio che nella mentalità comune regola il funzionamento, se non il destino della Natura.Innanzitutto chi stabilisce che un essere menomato non nasconda invece in sé il genio, soprattutto scientifico, come accade ed è accaduto con esempi clamorosi? Chi stabilisce che nel Down non regni una sua incontenibile gioia, e quindi una sua soddisfazione di vita?Non è perciò il caso di ribadire che il modello dell’uomo non è anatomico e mentale, bensì spirituale e ha i suoi modi, anche incomprensibili, di esprimersi e non solo interiormente?Il fatto accaduto a Milano merita tutto il raccapriccio che è dilagato sui giornali sull’aborto presuntuosamente selezionatore della qualità della vita; ma è il caso di coinvolgere anche nel pietoso incidente la responsabilità morale dei genitori che rifiutano i figli probabilmente Down. La carità avrebbe invece richiesto un’accoglienza pari, anzi superiore, a quella riservata al fratello sano; chi ha il diritto di rigettarlo invece di supplire con l’amore a ciò che gli è stato negato?Se il linguaggio non fosse un po’ fuori luogo si potrebbe dire che il caso, non Dio, si è vendicato del cuore duro dell’uomo e della sua stoltezza. Il caso rappresentato dall’errore umano pare essere stato delegato a infliggere il grande dolore che oggi fa certamente rimpiangere la soppressione di quell’esserino innocente che idealmente confidava nell’abbraccio di coloro che lo avevano generato come conforto del difetto della natura. E per di più il fratello sano è stato coinvolto nella morte del fratello debole cosicché l’egoismo umano si è sostituito al destino biologico che è condizionato e sincrono nei gemelli, e che Thornton Wilder ha magistralmente rappresentato nel Ponte di San Luis Rey

Per fermare il feticidio selettivo non serve toccare la legge sull'aborto


Il nome tecnico è “feticidio selettivo”. E’ l’aborto di uno o più feti in una gravidanza bi o plurigemellare: dei feti che si stanno sviluppando, non tutti nasceranno. Uno o più verranno eliminati, perché considerati “di troppo”, oppure perché “malati”.

Si esegue iniettando cloruro di potassio nel cuore del feto da eliminare, provocandone l’arresto cardiaco, oppure occludendone il cordone ombelicale, con il laser, ad esempio, e bloccando l’afflusso di ossigeno. Il feto morto rimane in pancia, accanto a quello (o quelli) vivo, che nel 3% dei casi muore pure lui, o comunque avrà elevate probabilità di nascere prematuramente, con tutte le conseguenze del caso.

Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno-fetale) spiega che "nel feticidio selettivo gli errori sono possibili e, nella maggior parte dei casi, non se ne ha notizia per la delicatezza delle vicende umane che si accompagnano e per l'impossibilità di arrivare a un contenzioso legale in considerazione del fatto che le donne sono ben informate, prima di sottoporvisi, e sottoscrivono un pieno consenso informato. Tale prassi, e tali errori, sono tecnicamente possibili e diffusi in tutto il mondo".

Sarebbe interessante conoscere il numero dei feticidi selettivi effettuati nel nostro paese, e quantificare gli “errori”, ad esempio come quello dell’ospedale San Paolo di Milano, e cioè la soppressione di un feto diverso da quello selezionato.

I tragici fatti milanesi sono noti: le due gemelle a diciotto settimane di gravidanza erano identiche e non era possibile distinguere visivamente quella con la sindrome di Down dall’altra. Per eliminare la prima, e tenere solamente il feto sano, il medico si è basato sulla posizione che avevano in pancia tre settimane prima dell’intervento, al momento dell’amniocentesi. Ma in quelle tre settimane di intermezzo pare che le sorelle si siano scambiate di posto, ed è stata soppressa quella sana. Successivamente, accortisi di quanto successo, si è eliminata anche l’altra.

Alessandro Di Gregorio, specialista in ostetricia e ginecologia al centro Artes di Torino, spiega che esistono sistemi per cercare di evitare casi come questi: "Nel caso degli aborti selettivi, l'uso del colorante per marcare il feto malato è prassi".

Marcare con un colorante il feto selezionato, per sopprimerlo senza commettere errori: espressioni che, nel migliore dei casi, evocano pratiche veterinarie - di solito si marcano le greggi, le mandrie, oppure gli esemplari malati o difettati, o comunque con qualche particolarità. Nel peggiore, invece, ricordano i lager nazisti.

Come nel caso del Careggi di Firenze – dove nacque vivo un feto sano, dopo un aborto indotto a ventitrè settimane di gravidanza, con una errata diagnosi di malformazione – anche adesso l’ errore è la soppressione di un sano, anziché di un malato.

E’ sbagliato nascere disabili, insomma. La pressione sociale e culturale per il “diritto al figlio sano” è fortissima, i sostegni alle famiglie con figli handicappati sono spesso drammaticamente insufficienti: in queste condizioni è difficile parlare di “libera scelta” delle donne. L’aborto sembra essere la via meno dolorosa per affrontare il problema.

Eppure la legge 194 non prevede l’aborto eugenetico, cioè non consente l’aborto a causa di malformazioni o anomalie del concepito: se integralmente e correttamente applicata, dovrebbe contribuire a “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza”, e ad “aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Se ne parla sempre, ma difficilmente si va oltre le solite polemiche.

Per applicarne le parti più disattese, quelle riguardanti la prevenzione, e chiarire i passaggi e gli articoli riguardanti i cosiddetti “aborti terapeutici”, sarebbe sufficiente stilare delle linee guida, adeguate alle nuove conoscenze scientifiche e tenendo conto dell’esperienza di questi trenta anni di regolamentazione delle interruzioni di gravidanza, senza intervenire sul testo di legge. Potrebbe essere un primo, importante tentativo di stabilire alleanze fra chi, sia sostenitori che oppositori della legge 194, pensa che comunque si possa fare ancora molto di più per combattere la tragedia dell’aborto.

Il caso milanese: per errore muore il feto sano


La drammatica vicenda dell’aborto selettivo sbagliato si è consumata nel noto centro ospedaliero di San Paolo, a Milano. Una donna di trentotto anni, con un figlio, scopre di essere nuovamente incinta: due gemelli. Al terzo mese l’amniocentesi rivela però che uno dei due feti nascerà con sindrome di Down. Da qui la decisione sofferta della madre di ricorrere alla pratica dell’aborto selettivo. Un aborto che è stato eseguito da Anna Maria Marconi, esperta ginecologa del San Paolo. Il medico oggi ha purtroppo un bel da fare per giustificare al mondo quanto accaduto: nell’esecuzione dell’intervento, infatti, qualcosa è andato storto e a perdere la vita è stato anche il feto sano, che avendo preso la posizione di quello malato, è stato erroneamente eliminato.

La notizia ha sconvolto l’Italia e dirottato il dibattito sulla famosa legge 194, la legge sull’aborto ormai in vigore da trent’anni sia davvero accettabile. Si riaccende così, in seguito alla tragedia della morte dei due gemelli, la discussione sul tema dell’eugenetica, la disciplina volta al perfezionamento della specie umana attraverso la selezione e promozione dei caratteri fisici reputati positivi e l’eliminazione di quelli negativi. Ma, ancora una volta, le riflessioni etiche si trovano a dover passare dal capitolo delle morti ingiuste.

Il problema di fondo, oggi, è risolvere la questione. Le ‘Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza’ prevedono che una donna possa abortire entro novanta giorni dal concepimento. Scaduto questo tempo rimane la possibilità di aborto, entro e non oltre la ventiquattresima settimana, quando il parto può avere gravissime conseguenze per la vita della donna, oppure quando si accertano malformazioni del nascituro che potrebbero duramente danneggiare la salute fisica o psichica della madre.

D’accordo sul definire la legge un esempio di “eugenetica” è prima di tutti l’Osservatorio Romano, il giornale del Vaticano, che scrive: “Nessun uomo ha diritto di sopprimere un'altra vita. Nessun uomo ha il diritto di sostituirsi a Dio. Per nessuna motivazione. Eppure innocenti continuano a morire”. 'E' l'eugenetica, secondo il quotidiano, "che impone le sue leggi. ''E' la cultura della perfezione che impone di escludere tutto ciò che non appare bello, splendente, positivo, accattivante. E quello che si apre è il vuoto, il deserto di una vita priva di contenuti anche se confezionata a perfezione''. E conclude: “Purtroppo il timore è che una politica troppo presa da sciocchezze varie finisca per definire sciocchezze, come è suo costume talvolta, quelle che sono, o che possono tramutarsi, in disperanti tragedie”.

Intanto anche Paola Binetti, senatrice della Margherita, definisce quanto accaduto un “aborto eugenetico e non terapeutico”, come invece lo definisce la legge 194. Spiega infatti che è mancata la “selezione”, forza naturale e innegabile, alla base del funzionamento della vita. E il problema non è tanto dei medici che hanno praticato l’aborto, dato che simili “errori sono prevedibili”, quanto della “non accettazione di un bambino down”. Ma sbaglia quando mette in campo la revisione della legge 194: proposta che si limiterebbe a contrapporre gli schieramenti politici senza possibili risultati.

Di diverso avviso sono invece le posizioni del ministro della salute, Livia Turco, che accusa duramente i medici del San Paolo, parlando di “un gravissimo errore umano”. Per la Turco “i casi di aborto in una gravidanza gemellare sono rarissimi in Italia e a chiamarli selettivi non è certo la legge che parla piuttosto di aborto terapeutico”. E quelle norme del 1978 sono a suo avviso “molto sagge, in quanto hanno permesso di trovare un giusto equilibrio, riducendo i casi di aborto negli ultimi trenta anni”.

Dalle accuse della Turco, il medico che ha praticato l’intervento, Anna Maria Marconi, si difende dicendo che “l’errore era del tutto imprevedibile”. Infatti, secondo il ginecologo, sarebbe stato impossibile prevedere lo spostamento dei feti. “Per saperlo – spiega- l’unica possibilità sarebbe stata monitorare costantemente con una sonda la pancia della donna. Una soluzione concretamente non percorribile”.

Anche il ginecologo, Silvio Viale, radicale e padre sperimentatore della pillola abortiva Ru486, prende le difese della Marconi e afferma che: “Si cerca di intimidire i medici che permettono l’applicazione della legge 194”. A suo avviso, il vero problema è che l’aborto viene “regolato ai margini della sanità”. E dell’Italia dice che è un Paese “ipocrita, dove si parla di aborti eugenetici in modo strumentale: sono tutti eugenetici gli aborti terapeutici a causa di malformazioni”. Ancora, aggiunge: “In questi casi entra in gioco il libero arbitrio. E in un paese cattolico penso che il libero arbitrio sia una prova per chiunque”.

Il dibattito non si ferma a questo. A parlare è anche Claudio Giorlandino, presidente della Sidip (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno-fetale), che spiega come l'aborto selettivo sia “una pratica rischiosa per la madre e per entrambi i feti”. E “purtroppo, dopo la legge 40 sulla fecondazione assistita, in Italia questa pratica sta divenendo più frequente”.

Insomma, si apre un dibattito controverso scaturito da un errore che ha portato alla morte di due feti, futuri bambini solo perchè uno dei due sarebbe nato con la sindrome di Down.

La legge sull'aborto ha bisogno di un tagliando

di Eugenia Roccella

Che i bambini affetti da trisomia 21, cioè da sindrome di Down, vengano ormai sistematicamente eliminati prima di nascere, l'abbiamo denunciato più d'una volta su queste pagine. E più d'una volta abbiamo lamentato come la legge 194 sull'interruzione di gravidanza sia ormai diventata un colabrodo, un testo che in alcune sue parti non è mai stato attuato, in altre è male applicato, e in altre ancora è tranquillamente violato.

L'intervento di aborto selettivo con cui, all'ospedale San Paolo di Milano, è stata uccisa per errore la gemella sana anziché quella malata, non è che la spia di pratiche che si diffondono fino a modificare la nostra sensibilità, la percezione che abbiamo degli avvenimenti. Chi si ricorda del piccolo Tommaso, nato nel marzo scorso dopo un aborto alla 22° settimana praticato al Careggi di Firenze? Il caso divenne pubblico solo perché il bimbo, a cui era stata diagnosticata una malformazione che non c'era, era rimasto vivo per alcuni giorni: pochi, ma abbastanza per suscitare commozione e scandalo. Se Tommaso non fosse sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto; e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola Down.
Ogni volta che un episodio del genere viene alla luce, si riapre la polemica tra chi è a favore di una legge sull'aborto e chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo alcuni giorni, però, tutto torna come prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza copre la terribile marcia che stiamo compiendo verso la selezione genetica, travestita da libera scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando a risultati di pulizia etnica che nemmeno la peggiore violenza razzista dei governi totalitari è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono articoli politicamente corretti sull'accoglienza nei confronti dei Down, si girano film emozionanti con protagonisti diversamente abili, ma poi si chiudono gli occhi di fronte alla realtà di una pratica di selezione genetica diventata ormai ordinaria routine.
Sembra che non si possa fare niente, che si tratti di una deriva inarrestabile, consentita dalla legge. Non è così. La 194 non considera lecita la selezione genetica, così come - se fosse stata applicata - non avrebbe permesso che Tommaso venisse abortito.
Su Avvenire del 23 maggio scorso noi l'abbiamo fatta, la nostra "modesta proposta per prevenire", chiedendo al ministro Turco una risposta, un segnale. La 194 ha ormai trent'anni, e li dimostra; forse le servirebbe un tagliando. Le nuove tecniche mediche, e le scelte che implicano, tendono a svuotarla di senso, approfittando delle incertezze interpretative. Il Ministero potrebbe fornire indirizzi e regole, stilando delle linee guida, senza toccare la legge. Quella parte della 194 che riguarda la prevenzione non è mai stata messa in pratica, e in tutti questi anni le donne che avevano bisogno di aiuto per diventare madri si sono trovate vicine solo i volontari dei Centri di aiuto alla vita.
La diffusione e lo sviluppo delle diagnosi prenatali hanno scardinato gli articoli 6 e 7 della legge, fatti in origine per circoscrivere il ricorso all'aborto terapeutico, ed escluderlo quando il bambino ha possibilità di sopravvivenza autonoma (quindi a partire dalla 22° settimana).
Per mettere qualche paletto basta dunque un atto amministrativo, senza modificare la legge, e probabilmente il ministro potrebbe contare su un'ampia area trasversale di consenso. C'è stato un tavolo dei volonterosi sui temi economici. Perché non provare a farne uno sui temi della vita umana?

Da l'Avvenire del 29 agosto 2007

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